Renzi, quando il capro espiatorio va in montagna anziché nel deserto
L’attacco all’ex-Rottamatore è ormai un rito catartico collettivo del giornalismo e della politica. O una rimozione.
Parafrasando don Lorenzo Milani, la riconoscenza non è più una virtù. In politica, ovviamente, più che altrove.
Non che lo fosse prima, nella Prima Repubblica: seppure vituperata dalle serie Sky, anche allora, effettivamente, i beneficiati di ogni sorta erano sempre pronti a mordere, un minuto dopo, la mano che gli aveva unto la fronte.
La vicenda politica di Matteo Renzi, in piena seconda Repubblica, o terza secondo alcuni, sta però diventando parossistica da questo punto di vista. Non passa giorno che, quasi compulsivamente – così tarantolati che Ernesto De Martino, buonanima, ci scriverebbe un saggio – schiere di politici ed editorialisti prendono la rincorsa per dare il calcio dell’asino all’ex-premier.
Un fenomeno che sta fra Pavlov e Freud, fra il riflesso condizionato e l’ossessione.
A volte pare un rito catartico collettivo. Ne ha i toni Amachele Serra su Rep, che s’è dato del gonzo per aver sostenuto Renzi, un atto di contrizione pubblica che i processati delle purghe staliniane – povericristi che ammettevano ogni cosa nella speranza d’avere il gulag e non la rivoltellata alla testa della GPU – avrebbero invidiato.
Gli Italians scendono dal carro
È che dire di Beppe Severgnini? Uno che il giovane Rottamatore l’aveva ghermito com’era apparso sulla scena – famosa un’intervista nella sede della Fondazione RCS, a Milano, primavera 2012, in cui con paternalismo lo invitava a scagliarsi contro il traballante Roberto Formigoni e lo bacchettava perché resisteva e diceva di non avere nemici ma avversari: «Matteoooo», lo riprendeva, «se vuoi fare il politico, non ti puoi sottrarre». Severgnini, uno che, Renzi avrebbe voluto candidare, Ferruccio De Bortoli dixit, e che oggi lo percula dalla Gruber per la sua sciata pakistana (a margine di una trasferta istituzionale, con Aznar e altri).
«Doveva andare all’Abetone», ha ridacchiato su La7, intendendo l’omonimo passo dell’Appennino tosco-emiliano, popolare meta degli sciatori fiorentini della domenica. E lo ha ribadito con un video molto gné gné.
Fra i Resposabili e gli Ingrati
In campo politico, la lista degli ingrati è infinita.
Il record della rapidità lo batté, come è noto, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Uno che stava a Expo per scelta di Letizia Moratti, e che ebbe in Renzi, non solo il premier che sposò in toto l’opera – mentre Grillo comiziava ai cancelli – , ma colui che poi lo candidò a sindaco di Milano, seppur via primarie. Eppure, quando ai gazebo si tornò, nel febbraio 2017, con Renzi sconfitto al referendum che chiedeva rilegittimazione politica, Sala si defilò con eleganza: è vero che le primarie meneghine le aveva vinte lui ma, prima ancora del sostegno dei renziani in quel voto, che pure fu enorme, Renzi era stato decisivo per farcelo arrivare, lui col suo stigma morattiano.
Tuttavia, ci sono casi più eclatanti.
Uno è certo quello della senatrice Monica Cirinnà, inta un giorno sì e l’altro pure a bastonare sui social Renzi. Da sempre impegnata sul fronte dei diritti Lgbt, ebbe da Renzi l’onore e il privilegio di scrivere la norma sulle unioni civili che oggi appunto porta il suo nome. Non era affatto scontato e, per ricordarlo, basta rileggere oggi un corrosivo Maurizio Crippa su un Foglio d’annata (sotto).
Nella top ten dell’irriconoscenza c’è certamente Valeria Fedeli.
Renzi la volle a capo della Pubblica istruzione, beccandosi gli ululati di chi vedeva in lei solo una ex-sindacalista Cgil. Renzi non la scaricò quando emerse il pasticcio della laurea incautamente infilata nel cv da uno zelante collaboratore.
Eppure, quando lui lasciò il governo a Gentiloni, la ministra assestò un paio di martellate alla riforma della Buona scuola, assecondando le richieste dei sindacati sul blocco dei trasferimenti, le famose «deportazioni» del tormentone anti-renziano.
L’altro giorno Fedeli è corsa a «cuorare» il tweet caustico con cui Massimo Giannini sfotteva il leader IV parafrasando il titolo di un famoso romanzo: «Il senso di Renzi per la neve».
Sulla riottosità dell’ex galassia renziana rimasta nel Pd – altro che «quinta colonna» come scrisse sbrigativamente più d’uno – troppo ci sarebbe da dire.
Il lettore potrà farsene un’idea scorrendo, se lo vorrà, una delle primissime guide ai renziani rilevanti, che scrissi – spiace citarsi, direbbe Maurizio Milani– nel 2013.
Renzi appare, sempre più spesso, il grosso capro dell’eterno kippur della politica nostrana, solo che se ne va in montagna anziché nel deserto. Espia le mediocrità, le furbizie, le inadeguatezze d’ogni sorta. Sarà pure antipatico ma bisogna esseregliene grati.
fonti
Renzi voleva Severgnini in Parlamento?
Il vero mistero di Renzi è la carriera della senatrice Cirinnà