Così, grazie a uno scrittore e a un trollino, ho detto addio al Tuider

Goffredo Pistelli
4 min readApr 7, 2021

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illustrazione da https://pixabay.com/it/users/kirstyfields-4444715/

Mi ci aveva già fatto pensare Edoardo Nesi, l’autore del bellissimo Economia sentimentale (La Nave di Teseo). Intervistandolo per ItaliaOggi, settimane orsono, aveva confessato di aver abbandonato Twitter da tempo: «Mi accorgevo che, in pratica, non facevo altro. Seguivo gente ganza, che postava cose intelligenti, ma alla fine mi prendeva troppo, troppo tempo».

La riflessione di Nesi mi aveva spiazzato ma nel senso che sentivo per la prima volta verbalizzare, e autorevolmente, un pensiero che facevo sempre più spesso: alla fine, con la scusa di informarsi, di seguire il fruire delle cronache, politiche ma non solo, l’usignolo di Jack Dorsey succhiava ore ogni giorno.

Un social invasivo e compulsivo a un tempo, tanto da essere il primo a essere consultato al mattino, prima della posta elettronica, prima della mazzetta dei quotidiani, e l’ultimo la sera, una volta chiuso i libro o la piattaforma con l’ultima serie.

Sabato scorso, sabato di Pasqua peraltro, c’è stato un tweet che ha avuto l’effetto della conversazione con Nesi, per farmi ripensare al mio rapporto con Twitter.

Un personaggio molto noto a chi tuitti da tempo mi ha “followato” per l’ennesima volta, complimentandosi per non so quale intervento e, subito dopo, come fa con tecnica consolidata (con tutti quelli che hanno qualche migliaio di follower e coi giornalisti i particolare), mi ha chiesto di seguirlo. Gli ho risposto facendogli gli auguri di Pasqua ma quello, anziché contraccambiare, ha insistito.

Così gli ho fatto notare che, avendo già 47mila e passa persone che lo seguivano, da Walter Veltroni a Riccardo Puglisi (giovane economista con ampio seguito), e non doveva certo preoccuparsi di aver me come ennesimo seguace.

Di solito, Franco Sala, questo il nome dell’accumulatore seriale di «follower», molla l’osso, smette di seguire e se ne va. Stavolta, con mia grande sorpresa, ha reagito dandomi del “coglione” ché, insomma, lo chiedeva «da collega», perché lui dice d’essere giornalista e mette Indro Montanelli del profilo.

Ho letto e riletto il messaggio, seguito da un altro in cui ribadiva il concetto rispondendo a una signora che interagiva, piuttosto stupito del livello di aggressività e soprattutto della gratuità dell’offesa (una volta un tizio, tifoso della Juventus, se l’era presa con mia madre, ottuagenaria, ma dopo una partita vinta dalla mia Fiorentina; un altro, un leghista, mi aveva dato del cretino per aver criticato Pedemontana, la più lumbard delle autostrade: cialtroni, insomma, ma c’era almeno un antefatto).

Stavolta no, lo sconosciuto Sala ti associa alle pudenda, per così dire, solo per capriccio, da vero troll, anzi da trollino, per aver opposto un diniego ragionato alla sua bulimia da contatto.

Un po’ come il tossico che s’arrabbia perché, sul Passante di Milano, gli neghi 50 centesimi e, mentre si allontana, ti manda dietro una sfilza di madonne e di saluti alla anziana madre, tanto che ti verrebbe voglia di inseguirlo e dargli due schiaffoni, spiegandogli che semplicemente non ti va di contribuire al suo buco di pessima eroina nel Boschetto di Rogoredo, poche fermate più avanti.

Così, lo sfanculamento greve dell’influencer de noantri ha reinnescato di nuovo un pensiero à la Bruce Chatwin: «Che ci faccio io qui?».

E sì, c’è gente intelligente e simpatica, sì c’è a volte un bel po’ di pensiero, sì c’è molta, moltissima attualità e la sensazione di seguire spesso i fatti mentre accadono, però, anche c’è molto anche sull’altro piatto della bilancia: l’aggressività potente di molti, la spocchia arrogante di altri ma soprattutto quello che Nesi ha sintetizzato amabilmente, nel suo pratese rotondo, con l’espressione «non far altro», che non va presa alla lettera ma significa, efficacemente, il tanto, troppo tempo dedicato.

Ed essendo un giornalista senza giornali, uno che firma ormai solo per passione un’intervista di tanto in tanto, non ho neppure l’alibi del personal branding: non ho da promuovere altro che il mio ego, casomai.

Ergo domenica sera, ho premuto il tasto «disattiva il tuo profilo», non prima d’aver richiesto al Dorsey tutti gli archivi indietro, ché comunque questi quasi 10 anni sono stati anche belli e popolati, fra le oltre 5mila persone che mi seguivano, da persone belle – colleghi in servizio o in pensione, senatori, professori universitari, avvocati, ingegneri, gente qualsiasi, padri, madri, corregionali, correligiosi, tifosi and so on - che non cito perché «non farei altro».

Dunque addio Tuider, come spesso veniva scherzosamente chiamato nella mia bolla politico-culturale-cronachistica-sportiva.

Ormai pretendevi molto di più di quello che davi.

Per chi volesse leggere l’intervista a Edoardo Nesi, sta QUI

Per chi volesse seguirmi sono (ancora) su Facebook.

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Written by Goffredo Pistelli

Giornalista senza giornali. Twitter: @pistelligoffr Issuu: https://issuu.com/gpistelli Nella foto, il grande David Frost.

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